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ROMINA FALCONI «Nelle mie canzoni parlo della faccia oscura dei rapporti sentimentali»

E’ stata corista di Eros Ramazzotti, ha partecipato qualche anno fa a Sanremo “Giovani” e si è tolta pure lo sfizio di calcare il palco di “X-Factor” nel 2012. Quest’anno ha sfiorato di nuovo il teatro Ariston (puntava a presentarsi assieme a Immanuel Casto) ma le cose non sono andate per il verso giusto per Romina Falconi: «Non sono delusa perché tendo ad essere molto razionale di solito, sapevo che era una mossa azzardata ed insieme al Casto ho comunque voluto provare. So che riusciremo a portare in giro una ventata di freschezza perché oltre alla volontà c’è un lavoro che non cessa mai tutti i giorni dell’anno e c’è una cura ed un amore incredibile dietro quello che facciamo. Magari quest’anno è andata così e va bene. Non amo gli artisti che ci provano e poi se non sono presi nelle manifestazioni parlano male di chi ci va o di chi gestisce tutto. Sanremo, da sempre, è una vetrina ambita».

La prima cosa che ti chiedo è relativa alla tua esperienza con Eros: cos’hai imparato da quella parentesi e c’è mai stato un momento in cui hai avuto paura di non essere all’altezza della situazione?

«Solo una volta ho avuto paura di non essere all’altezza: il primo giorno di prove con i musicisti americani, c’erano Michael Landau, Gary Novak, Reggie Hamilton e Everette Harp. Io non mi prendo mai sul serio e sono molto cattiva con me stessa e ricordo che mi sono detta: “Qui c’è gente che ha suonato con Michael Jackson, Whitney Houston, Chick Corea. Che abbiano sbagliato ragazza? Forse c’è un’altra Romina Falconi e c’è stato un errore di omonimia?”. Ma da quel giorno no, mai più battute cattive con me stessa, mi sono messa a studiare e dare il massimo perché sapevo che era un’occasione di crescita enorme lì e che dovevo cogliere l’attimo o non mi sarei certo perdonata. Gary adesso è come un fratello per me, ho imparato che gli artisti più sono grandi e più sono umili e che non esistono limiti se davvero si vuole raggiungere un obiettivo».

Sono passati 7 anni dalla tua prima apparizione al Festival e nel mezzo anche la prova di “X-Factor” nel 2012: quanto conta, oggi, la tv per il successo di un progetto musicale?

«Purtroppo conta molto, dico “purtroppo” perché per quanto ci siano tutti i dettagli degli omicidi in tv e quanto in pochissimo tempo si riesca a sapere cosa accade dall’altra parte del mondo, artisticamente ci sono molte più proibizioni rispetto agli anni ’80. Andiamo avanti ma si regredisce e si censura con molta più facilità. Ora la tv che parla di musica fa credere alla gente di avere il potere di creare basi solide per una carriera artistica appena nata ma finito ogni programma il cantante deve davvero fare i conti con se stesso e con chi ha firmato i contratti. I miei eroi sono Vinicio Capossela e Mannarino; eroi perché nonostante la poca esposizione mediatica fanno davvero quello che amano fare, a modo loro, e sono riusciti ad essere molto amati».

Penso che se uno come Morgan diventasse presidente di una casa discografica sarebbe un’Italia migliore. Pochi artisti sanno osare e lui a volte è molto ricercato per il bagaglio culturale e la voglia di sperimentare

A “X-Factor” hai lavorato gomito a gomito con Morgan. Nelle interviste parli sempre in maniera molto veloce dell’ex leader dei Bluvertigo. Ci sono state frizioni tra di voi?

«Morgan è una persona alla quale devo dire “grazie” perché mi ha preso in un programma che quasi sempre sfoggia embrioni o vergini (gente che non ha fatto gavetta e che dall’oggi al domani si ritrova a fare “il cantante”), a lui devo la mia partecipazione a “X-Factor”. Ne parlo poco perché a parte quei due mesi non ho avuto modo di conoscerlo e di parlarci molto. Credo abbia un buon ricordo di me come io di lui. E’ una bella persona perché mi ha lasciato libera di chiarire con lui e di parlare liberamente, libertà che un mentore concede raramente».

Aprici il dietro le quinte di programmi così popolari…

«La verità è che un giudice di un talent non ha tutto il potere che crediamo: un programma televisivo è gestito pur sempre da autori televisivi. Fosse per me (a parte il Morgan cantautore che amo e che conosciamo tutti) penso che se uno come Morgan diventasse presidente di una casa discografica sarebbe un’Italia migliore. Pochi artisti sanno osare e lui a volte è molto ricercato per il bagaglio culturale e la voglia di sperimentare. Gente come Morgan dovrebbe avere anche più potere ma l’Italia, ahimè, ancora non è pronta».

Hai appena completato “Certi sogni si fanno Attraverso Un filo d’odio”, un album composto da tre mini album. Cosa rappresenta per te? Ci sarà un’edizione fisica nel 2015?

«Rappresenta la libertà artistica che onestamente credevo di non potermi permettere. Ho un team meraviglioso con il quale posso ridiscutere tutte le regole. Nell’essere indipendenti ci sono dei lati positivi: si può creare nuove formule per presentarsi al pubblico. Ringrazio per la gavetta fatta finora, credevo fosse difficile dire alla gente quello che ho sempre pensato davvero. Sai, più si va avanti con internet e più si crede che siano stati abbattuti dei muri ma non è così. Ho passato così tanto tempo a cantare cose sotto suggerimento, a non essere me stessa. Ci ostiniamo a credere che la musica sia una forma di comunicazione poco controllata e più di “pancia” ma è falso: la donna non può mai dire che si è rotta il cazzo, le donne che ascoltiamo oggi sono tutte dignitosamente forti, il messaggio è sempre di speranza ma sempre da soccombenti ad un amore o una vita o un momento che non si è scelto».

E’ sempre stato così?

«Negli anni ’80 c’erano mille tipi di donne-cantanti, artisticamente lo scenario era colorato e libero. Ora sembra quasi che o sei una sfigata oppure non puoi vendere dischi. E’ bello sperare e cantare di amore in maniera pura, per carità, ma perché non si può mai parlare dei giorni in cui ci sentiamo dei disastri veri? Nelle canzoni nessuna tradisce mai se stessa, nessuna che faccia la “cacchina fuori dal vaso”, nessuna vuole più rischiare. Con questa trilogia mi sono permessa di osare e di farlo a modo mio, nel rispetto di tutti ma con una regola fondamentale e cioè dire la verità senza abbellimenti. Ho diviso in tre un album proprio perché volevo muovermi a piccoli passi. Voglio raccontare la verità e fregarmene che sono una donna e che “non sta bene dire certe cose”. In questo terzo capitolo, “Un filo d’odio”, parlo della faccia oscura dei rapporti sentimentali, canto “Lista Nera” e cioè le persone da evitare; è stata una sorpresa enorme notare che è il brano più scaricato tra tutti i miei brani.  Racconto le verità sull’amore e guarda un po’: ci sono pure gran brutte verità. L’ideale nel 2015 sarebbe far uscire un disco fisico di questi mini album digitali».

Non mi spaventa niente, ho perso un fratello in un incidente stradale e ho passato la mia vita a dirmi “…questa cosa del tempo che migliora le cose è una gran fregnaccia”

Hai una personalità forte che si riflette anche nell’immagine. Non hai però paura di essere nel posto sbagliato (l’Italia) ma nel nel momento giusto, visto che all’estero le artiste dalla forte personalità (vedi Lady Gaga) raccolgono successi planetari?

«Non mi faccio questa domanda perché una come me ama Jacques Brel, Gabriella Ferri, Massimo Troisi, Vittorio De Sica che in un’intervista disse che quasi tutti i suoi film raccolsero apprezzamenti nel tempo e mai sul momento. In questi anni ho capito che ci sono i centometristi e i diesel. Io sono un diesel di sicuro, una da seconda lettura. Tutti i miei miti, guarda caso, sono stati dei diesel e si sono fatti un mazzo così. Ho deciso di essere me stessa e qualcuno poi ha detto che ero originale. Come ogni persona originale (ma il sottotitolo è “strana”, diciamolo) non potevo avere la strada spianata, chi abbatte i muri si sporca per forza».

Parole ambiziose, le tue…

«Non voglio paragonare quello che faccio io con quello che facevano/fanno i miei miti, voglio solo dire che per fare qualcosa di diverso bisogna rischiare ma vogliamo mettere la soddisfazione di essere qualcosa che non c’è in giro? Prendiamo Stromae: lo amo dal giorno zero e con questo ultimo disco ha girato tutto il mondo cantando in francese ma lo avrei amato anche se fosse rimasto fermo al Belgio. Nessuno ci credeva, neanche lui, ma ha fatto l’unica cosa che andava fatta e cioè: lavorare e provare».

Dove ti vedi fra qualche anno?

«Non so cosa farò tra qualche anno ma io in questo momento devo essere qui e tentare. Almeno potrò dire di aver speso una vita a fare quello che mi piaceva. La fama non conta molto se hai i soldi per campare, l’importante è stare bene con se stessi facendo quello che ci fa stare bene. Se vuoi fare il cantautore è da pazzi pensare alla fama, è un veleno che non serve. La popolarità può avere un inizio come una fine. Intanto quest’anno ci sono molte più persone che sanno che esisto e lo vivo come un grande regalo. Non voglio essere “la pupilla di…” oppure “la donna di…”. Non voglio padroni perché ho capito che il gioco non vale la candela».

La musica ti ha dato finora tantissime belle esperienze, ma cosa ti ha tolto questo sogno?

«La musica mi ha salvato quando facevo cose illegali da minorenne, mi ha salvato dai momenti bui perché “studio questa canzone” era l’unica cosa che contava quando non avevo neanche gli occhi per piangere. La determinazione nel fare musica mi sta tenendo lontana dalla mia famiglia che vedo raramente, questa è l’unica cosa reale che soffro quotidianamente ma per il resto so che quando sarò vecchia, a prescindere da come andrà, mi dirò “ne è valsa la pena”».

Hai iniziato giovanissima nei pianobar e nella tua vita sei stata anche una venditrice porta a porta. Ti spaventa quel periodo oppure non avresti alcun problema a tornare nell’ombra, fuori dalle luci?

«Non mi spaventa niente, ho perso un fratello in un incidente stradale e ho passato la mia vita a dirmi “…questa cosa del tempo che migliora le cose è una gran fregnaccia”. Le cose brutte sono altre. Mi spaventa perdere chi amo e dovermi ritrovare a sopravvivere ancora una volta. Per tutto il resto ho imparato che anche da cose difficili può nascere qualcosa di buono e che il senso della vita è imparare. Se non avessi venduto i “folletti” magari ora non sarei così socievole, se non fossi stata povera magari ora non sarei qui a contare di fare un lavoro che ho così tanto desiderato fare. Se ci fai caso è grazie alle crisi che si trovano stravolgimenti e soluzioni».

Io la mia isola felice la sto vivendo grazie a tutti i “no” ricevuti delle case discografiche con cui lavoravo che mi volevano assolutamente omologare

Dalla tua posizione privilegiata, come vedi i giovani sotto il palco? Le ultime generazioni sembrano così difficili da inquadrare…

«Non sono poi così difficili da inquadrare: hanno il mondo in un telefonino e non si accontentano (ed hanno ragione), non credono nel divismo della dolce vita perché sono abituati a vedere quotidianamente le vite dei loro artisti preferiti e a dialogare con loro. Hanno negli occhi la consapevolezza di essere figli di una generazione che ha lasciato in eredità dei valori, ma anche guerre, intolleranze, Aids, inquinamento e sanno che non possono dare per scontato niente, neanche una casa da comprare con un mutuo agevolato. Quelli che seguono me seguono la tv ma neanche troppo e sono famelici di novità».

Qual è il tuo rapporto col pubblico?

«Sono molto felice di essere seguita da tanti tipi di persone, i miei fans sono educati e gentili, mi hanno capita. Quanto è bello essere capiti. Se un giorno in un video interpreto una prostituta e il giorno dopo una cassiera sanno che non mi piace nei video fare i soliti playback e che amo recitare le mie canzoni. Non siamo noi a scegliere il pubblico, è il pubblico che ci sceglie e non immagini che senso di serenità mi dà sapere che sono curiosi del personaggio che andrò ad interpretare la volta dopo. Ho interpretato un travestito, una maniaca, una ragazza triste, un manichino, un fantasma, ne ho fatte di tutti i colori e loro sono lì e non mi chiedono mai perché, mi incoraggiano a fare il video di una canzone nuova. Mi sento molto fortunata, sai? Lo vivo come un miracolo: la stranezza che mi ha fatto sentire sempre fuori posto ora è una delle armi che ho a disposizione per parlare dei temi che mi stanno più a cuore. Io la mia isola felice la sto vivendo grazie a tutti i “no” delle case discografiche con cui lavoravo che mi volevano omologare. Benedico proprio tutto perchè essere capiti e fare tutto ciò che si desidera è senza prezzo».

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