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EDDA «C’è una tensione tragica che rende ciò che scrivo più duro di quello che è in realtà»

Non c’è niente oggi in Italia che suoni come un disco di Stefano “Edda” Rampoldi. L’ex cantante dei Ritmo Tribale è arrivato al suo terzo album solista – “Stavolta come mi ammazzerai?” – ed è uno dei più grandi cantautori in circolazione in Italia, pur essendo esattamente l’opposto di ciò che di solito si intende per cantautore. Edda dopo 12 anni di silenzio – fra eroina e solitudine – nel 2009 è tornato a incidere e suonare musica. Canzoni bellissime sin dall’esordio solista “Semper biot”; pezzi nudi e crudi, come il titolo in dialetto milanese di quel primo disco (sempre nudo, appunto), in cui la tensione tragica della sua voce esplode in mille colori, senza lasciarti un attimo di pace. Il timbro acuto, alto e lacerante di un uomo che, a 50 anni, ha trovato la propria redenzione prima come operaio sui ponteggi di Milano e poi come musicista. Fedele ai principi Hare Krishna in cui crede da quasi 30 anni Edda si è reincarnato nell’artista più credibile e adatto a raccontare questi terrificanti Anni Dieci.

Parliamo di “Stavolta come mi ammazzerai?”, questo terzo disco solista è forse il primo ad avere un suono più rock e meno essenziale rispetto agli altri due (“Semper biot” e “Odio i vivi”). E poi, detto francamente, è un album davvero bello: difficile e doloroso, ma che arriva subito all’ascoltatore. Sei soddisfatto di come è uscito?

«Sì, mi piace molto il disco, ma non è merito mio, ma di chi l’ha arrangiato. Io ho portato semplicemente le canzoni in studio, poi grazie a gente come Fabio Capaldo (videomaker e titolare dell’etichetta Niegazowana che ha prodotto tutti i lavori solisti di Edda, ndr) è venuto fuori così potente. Questi processi sono difficili da spiegare, soprattutto per me. E’ come quando vai dal meccanico con la macchina rotta e lui apre il cofano e ti dice che problemi ha. A quel punto lasci che faccia tutto lui. Certo, rispetto al passato è un progetto diverso, che coinvolge molte più persone: una vera band».

I testi del disco sono spesso duri e autobiografici. Come mai tanta rabbia?

«Mah, non saprei cosa rispondere. Nel senso che forse io sono tarato su un altro metro di durezza, perché a me non sembrano così duri, i miei testi. Visto che me lo dicono quasi tutti, però, forse è vero. Probabilmente non sono riuscito a far venire fuori il mio lato ironico e questo mi dispiace».

Forse questa sensazione arriva dal modo in cui li canti.

«E’ vero, è possibile. Quando canto tiro fuori il Claudio Villa o il Marco Masini che sono in me – ride. C’è una tensione tragica che rende quello che scrivo più duro di quello che è in realtà».

Il prossimo album sarà sugli Anni Settanta e sulla visione politica di allora. Quando ero un ragazzino ero molto impegnato, ma adesso sigle come Autonomia Operaia non se le ricorda quasi più nessuno

Se coi Ritmo Tribale – penso soprattutto ai tempi di “Kriminale” – nelle vostre canzoni si respirava qualcosa di politico – seppur raccontato in modo molto personale – in questi album solisti non se ne trova traccia. Come mai?

«Certi accenti ci saranno nel prossimo disco, che sto iniziando a scrivere. “Stavolta come mi ammazzerai?” era incentrato sulla famiglia, il nuovo album sarà sugli Anni Settanta e sulla visione politica di allora. Quando ero un ragazzino ero molto impegnato, ma adesso sigle come Autonomia Operaia non se le ricorda quasi più nessuno. Ecco, nei testi del prossimo lavoro cercherò di recuperare quel linguaggio e quei nomi lì. Se mi chiedi chi sono i politici di oggi ti posso dire ben poco. Certo, conosco Renzi e mi sembra una sorta di Giorgio Mastrota. Mentre se parlo di 40 anni fa mi ricordo tutto».

E’ vero che hai lasciato il tuo lavoro sui ponteggi?

«Sì, e sono stato un cretino a farlo. Da un anno, e cioè da quando ho deciso di mettermi a fare soltanto il musicista, mi maledico ogni giorno per quella scelta. Ma se uno è deficiente, come sono io, cosa ci puoi fare? Tengo duro, ma non è semplice vivere suonando. Certa gente ce la fa, tipo gli Afterhours, che sono dei grandi. Loro hanno trovato la via giusta. Anche io per un po’ coi Ritmo Tribale ce l’avevo fatta. Ma poi, a 30 anni, ho mollato tutto. Quello che mi consola è che, per fortuna, ho fatto un bel disco. Pensa se fosse venuto una schifezza? Almeno ho questa piccola soddisfazione».

A proposito dei Ritmo Tribale, è possibile una reunion?

«Non lo so. Quello è stato un vero e proprio matrimonio per me: 13 anni insieme a suonare… Ci potrebbe essere un ritorno, mi piacerebbe, ma sinceramente non ne ho la più pallida idea. Oggi sono molto concentrato sulle mie cose».

La tua fede Hare Krishna è sempre solida?

«Sì, sono trent’anni ormai che la pratico. Ogni giorno mi alzo alle 3 del mattino e inizio a cantare i mantra. Quando ho lasciato il lavoro mi si è aperta una voragine e Krishna mi ha aiutato».

Diego Curcio

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