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PAOLO SAPORITI «In "Acini" parlo della mia nuova famiglia»

Quello di Paolo Saporiti è un percorso artistico che, anche con il nuovo capitolo “Acini“, prosegue all’insegna dell’introspezione. Con lui abbiamo voluto parlare del nuovo disco, ma anche dei vecchi fantasmi che forse, oggi, fanno un po’ meno paura e abbiamo colto l’occasione anche per chiedergli qualcosa sul cantautorato che negli ultimi mesi ha conquistato le copertine in Italia.

E’ impossibile parlare di “Acini” senza parlare anche del disco del 2014, sembrano agli antipodi. 

PAOLO_SAPORITI«Vivo le canzoni come la traduzione diretta di quello che ho dentro, la via d’accesso migliore per conoscermi e lasciarmi conoscere dagli altri. “Paolo Saporiti” è nato come primo atto in italiano di una saga, quella della mia famiglia, cominciata anni prima con i dischi in inglese. Esperimento ben riuscito, “Paolo Saporiti”, di messa a terra di un’immagine precisa che avevo dentro a quel tempo e che volevo andasse a consumarsi: un bambino che gioca nella sua camera con l’Apocalisse che impera fuori. Il tutto in compagnia di un grande conoscitore e inventore di musica (Xabier Iriondo) che avevo scelto perché ritenevo potesse coadiuvare al meglio quella sensazione interiore di profonda estraniazione. Sensazione che scaturiva dalla mia infanzia e che volevo passare agli altri, come lascito generazionale. Tutto in quella fase parlava di fallimenti dei rapporti e delle relazioni umane e tentava una spiegazione ma puntava dritto verso il cambiamento. Certo il processo è stato lungo ma così, partendo dall’incapacità e dall’impossibilità, è stato possibile arrivare ad “Acini” che sviluppa l’esigenza di oggi di andare oltre e condividere un cambio di prospettive».

Come definiresti, quindi, in poche parole il nuovo disco?

paolo saporiti acini«”Acini” parla delle possibilità dell’amore e di comunicazione».

Se le canzoni di “Acini” esprimono anche il tuo stato d’animo interiore, si potrebbe pensare che hai definitivamente fatto pace con te stesso. E’ così?

«Si può dire ma sommessamente, perché la vita è la vita e tutto scorre e cambia direzione repentinamente, in relazione a quello che ci accade. Non è detto che si possa continuare a fare quello che amo fare e riproporre quanto già proposto fino a ora, potrebbe anche succedere qualcosa di strano e nuovo che stravolge ogni cosa, chissà».

Molte volte la tua famiglia è finita nelle tue canzoni. Oggi, che equilibrio avete/hai trovato?

«Ci si vuole bene rispettando ruoli e posizioni, considerando, ad esempio, che mio padre non c’è più e che la sua è una figura che mi ha enormemente condizionato, fino a quando è stato in vita. Le cose cambiano enormemente e da un giorno all’altro. C’è stata una lunghissima elaborazione del lutto, di cui ho parlato a fondo e in vario modo nelle canzoni e la lenta pacificazione con buona parte dei fantasmi rimasti in piedi. Ho subito pensato che parlare delle relazioni fondamentali potesse essere un dono enorme da fare a chi ascolta ma è evidente, questo deve anche incontrare un pubblico disponibile all’ascolto, perché l’argomento è delicato e ci sono tempi in cui queste cose non vanno proprio, tipo oggi. In “Acini” parlo della mia nuova famiglia, quella che ho costruito con Silvia, la mia compagna e Ale, suo figlio».

Nella tua carriera hai spesso cambiato forma e suono, pur rimanendo fedele all’idea di un cantautorato moderno. Cosa vorresti aggiungere in futuro alla tua musica per avvicinarla all’ideale che magari, agli inizi della tua carriera, immaginavi per essa? 

«Tutto lo scibile e il frequentabile mi intrigano e continueranno a farlo ma sono l’uomo che sono e ho bisogno di rispettare i miei tempi e che anche gli altri lo facciano, se no soffro. Fino a quando mi sentirò rispettato e in grado di poter rimanere quello che sono, mettendolo a terra, andrò avanti e non avrò di sicuro problemi a continuare a mescolare le carte».

Ti piace il nuovo che avanza (in classifica, soprattutto) per quanto riguarda il cantautorato italiano? Mi riferisco a proposte come quelle dei Thegiornalisti e Lo Stato Sociale.

«Sono cantautori o esempio di cantautorato? Nasco come ascoltatore e come lettore, prima di tutto. Prima che come musicista e come autore, quindi tutto dipende direttamente dal mio gusto. Ti confesso che non conosco i due nomi che citi se non per i riverberi di quello che accade lì fuori, ma ti confesso che quello che ho sentito, ad oggi, non mi piace per niente. Non mi corrisponde. Potrei dirti, risolvendola in una battuta, che quasi tutto quello che ascolto oggi intorno a me, sta alla musica come il Movimento Cinque Stelle, la Lega, il PD e Forza Italia, stanno alla vita e a quello in cui credo io. E’ una questione di rappresentanza e nulla di quello che vedo mi rappresenta o mi permette la minima identificazione, quindi…».

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