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NEX CASSEL «Siccome non c'è tanto rap fatto bene in giro, ho pensato di ripartire dalle basi, qualcuno lo deve fare»

Mercato nero” (Adriacosta Records) è il nuovo album di Nex Cassel, il quarto ufficiale da solista nella carriera dell’artista veneto che, in questo caso, ha curato anche tutte le produzioni musicali. Un disco di puro rap underground composto da 11 tracce e con diversi featuring. Abbiamo provato a capirlo meglio attraverso le parole dell’artista.

Album diretto, essenziale, in netta controtendenza rispetto a tante cose attuali che sono sempre extra large nella scaletta. Una scelta precisa oppure un caso?

«Una scelta precisa, a livello di produzione (ho prodotto io le strumentali) ho deciso di tenere solo i suoni strettamente necessari, tagliando il superfluo: è la strada che sto percorrendo come produttore. Il numero di tracce e la durata totale, allo stesso modo, è senza pezzi riempitivi e perdite di tempo. Poi, in realtà, la versione fisica ha 2 tracce in più che completano il disco. Il numero di ospiti è l’unica cosa elevata, ma secondo me non risultano troppi, sono giusti per il tipo di disco che volevo».

Sono tanti gli ospiti: come sono stati scelti o come sono entrati nel progetto? Inoltre c’è qualcuno che ti sarebbe piaciuto ci fosse ma che non è entrato per tempo o altre dinamiche?

«Sono felice perché ho lavorato il disco in un totale caos che avevo sotto controllo. Nella mia testa volevo tanti ospiti e tanto rap, ma non volevo assolutamente stressarmi per correre dietro agli artisti, come capita a quelli che fanno questi dischi. Se la cosa si è concretizzata, è avvenuto senza stress. Gli ospiti che ho sono perfetti e hanno tutti interpretato alla perfezione il loro ruolo, ma potrei fare un volume due con altrettanti rapper diversi. Quasi tutti i pezzi sono stati registrati da me in un appartamento in affitto a Milano. Anzi in tre appartamenti».

“Working class” apre il disco e sembra quasi un manifesto della tua arte. Com’è nato?

«Perché ho pensato che i rapper parlano sempre di soldi e di Lamborghini, ma chi li ascolta in realtà la mattina si alza per lavorare, qualsiasi lavoro sia…».

Non c’è trap nel tuo lavoro. Cosa ne pensi di questo sottogenere del rap che oggi sembra fondamentale per parlare con una generazione di appassionati?

«Ora per molti trap è sinonimo di merda, ma come in tutti i generi c’è la roba figa. La musica bella bisogna sempre andarsela a cercare. Io ora sono preso da questa roba e la trap non mi interessa ma poi se sento un pezzo che mi piace, non mi faccio certo problemi».

Tu hai vissuto diverse stagioni del rap in Italia. Rimpiangi qualcosa del passato e dove sta andando il movimento dal tuo punto di vista?

«Ogni stagione ha i suoi frutti. Prima l’Hip-Hop comprendeva tanti sottogeneri, ma era una cosa unita, ora penso che ci siano vari settori e varie scene che fanno il loro, senza interessarsi necessariamente a vicenda, anzi è ora di accentuare queste differenze».

Sul suono è stato fatto un lavoro pazzesco, sia in termini di produzione che di registrazione (in cuffia il disco è favoloso). Il risultato è fedele alle tue idee di partenza?

«Il disco è prodotto, mixato e masterizzato da me, cosa che spesso faccio, ma altre volte affido i miei lavori a dei colleghi, mi piace giocare con ‘ste cose. Questa volta, contrariamente a quello che faccio di solito, sono stato violento nel mastering, capirò tra qualche anno se è troppo o se va bene. Comunque in linea di massima doveva suonare così, lo volevo solido e denso».

Ascoltando i testi, nel tuo immaginario ci sono cose concrete, quotidianità, dentro le quali è facile riconoscersi. Cosa accende la tua ispirazione? Situazioni particolari della tua quotidianità? Ad esempio, tempo con gli amici, viaggi, TV, serie, dischi?

«In questo disco sono stato più semplice anche nei testi, perché essendoci solo due tracce in cui sono da solo, senza ospiti, è più difficile lasciarsi andare a riflessioni complesse. Mi sono dedicato a fare del rap fatto bene, che poi renda bene live, e che gasi l’ascoltatore. Siccome non c’è tanto rap fatto bene in giro, ho pensato di ripartire dalle basi, qualcuno lo deve fare».

Tornando a “Working class”. A un certo punto c’è un passaggio dedicato ai sogni. I tuoi quali sono?

«Essere il rapper più forte».

Negli ultimi anni, hai ascoltato a livello musicale qualcosa che ti ha fatto sobbalzare sulla sedia?

«Sobbalzare no, ma mi sbatto e riesco ancora a trovare musica che mi piace e che non mi suona di già sentito, anche perché faccio anche il dj e la ricerca di pezzi nuovi è fondamentale».

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