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TEHO TEARDO «Gli artisti sono come delle cagne: vanno da chi li coccola. Ebbene, sono una cagna anch'io»

Per presentare il suo nuovo album (in uscita il 19 settembre), Teho Teardo ha scelto un posto del cuore, cioè il festival irlandese di Galway. Lo scorso 23 luglio, presso la St. Nicholas’ Church, l’autore di tante colonne sonore di successo – celebri le sue collaborazioni con Paolo Sorrentino – si è esibito in un contesto particolare. Perché Galway è particolare.

La prima cosa che voglio chiederti è proprio sull’esperienza recente. Cosa ti ha trasmesso?

«Il festival di Galway è un punto di riferimento internazionale per gli artisti. La disponibilità e cura che gli organizzatori riservano ai partecipanti sono notevoli. Il risultato è un festival con più di 100.000 spettatori che arrivano da svariati Paesi del mondo per trascorrere circa una settimana in una minuscola cittadina sull’oceano. Il programma comprende molto teatro, musica ed arte contemporanea. In Italia non abbiamo niente di paragonabile, né quantitativamente né qualitativamente. Viene data la possibilità di essere se stessi, di sperimentare, di presentare nuovi lavori, non è poco. Suonare lì è stato un onore anche perché è stato il festival stesso ad invitarmi dopo che l’anno scorso avevo lavorato alle musiche di “Ballyturk” di Enda Walsh e successivamente mi hanno chiesto di occuparmi della musica di “The Match Box”, una produzione teatrale del festival stesso e, a quel punto, chiedermi di tenere un mio concerto è stata una naturale conseguenza. Mi piace che ci siano esclusivamente questioni artistiche dietro la presenza ai festival: se il tuo lavoro viene apprezzato ti invitano. In effetti “Ballyturk” ha riscosso un notevole successo, anche in Inghilterra. In Italia se ottieni un po’ di visibilità per qualcosa di buono che hai fatto poi stai sulle balle a tutti, immediatamente…».

Suonare con altri aiuta anche a smantellare il proprio ego ricavando notevoli soddisfazioni. Le collaborazioni sono quasi esclusivamente una questione di affinità, di prossimità con altri artisti

Il tuo nuovo disco (in uscita a settembre) è pronto ad arrivare dopo aver già visto la luce dal vivo. Perché hai sentito il bisogno di fissare il tutto su cd e vinile? 

«E’ la musica che detta il formato, non il contrario. Non decidi di fare un album e poi prepari la musica, ma il contrario: prima scrivi della musica e in base al materiale che ottieni capisci che tipo di formato e destinazione avrà. Credo nell’importanza dell’ascolto e della qualità che lo riguarda; lo streaming oggi è ancora molto scarso da questo punto di vista e ci priva dell’esperienza del suono. Per me la musica comincia nel suono e quindi dedico molte energie al supporto che la contiene, anche dal punto di vista estetico, grafico».

Mi piacerebbe capire come scegli di concentrarti su un progetto piuttosto che un altro. Insomma, cosa ti spinge in una direzione o in un’altra? L’istinto? La voglia di collaborare con amici (Blixa Bargeld, Elio Germano, ad esempio)? L’idea di percorrere una strada coerente?

«La coerenza, nel proprio percorso, è un aspetto che tenderei a dare per scontato, anche nell’ipotesi di collaborazioni, si fa ciò che si ritiene sensato nell’ipotesi di uno sviluppo del proprio percorso, condividendo con altri una ricerca che è essenziale nel proprio tragitto. Suonare con altri aiuta anche a smantellare il proprio ego ricavando notevoli soddisfazioni. Le collaborazioni sono quasi esclusivamente una questione di affinità, di prossimità con altri artisti».

C’è un film che hai visto di recente e che ti sarebbe piaciuto musicare? Proprio in questi giorni è uscito “Ex Machina” con le musiche di Geoff Barrow.

«Non guardo i film pensando che avrei potuto lavorarci, mi sembrerebbe un pensiero egotico. Non ho visto “Ex Machina”, ma ho ascoltato la musica e trovo sia davvero un buon lavoro ma è piuttosto lontano dal mio universo. Per quanto concerne invece Barrow, ciò che ha fatto con Portishead è gigantesco».

A Galway, in cartellone con te, c’erano anche Damien Rice e Sinead O’Connor. Mi dai un tuo commento su questi due artisti?

«Sinead non ha suonato nonostante ci fossero persone arrivate da mezzo mondo per ascoltarla, ad esempio da New York. Il concerto di Damien Rice era sold out dopo l’annuncio della data. Sono due artisti diversissimi, davvero amati da chi li segue. Stimo molto entrambi, a me faceva un certo effetto trovarmi lì in mezzo. Ho pensato: “…magari qualcuno si sbaglia e riserva dell’affetto anche a me, così solo perché mi trovo lì”. Un giorno a colazione con Marc Almond gli chiesi come mai andasse così spesso a suonare in Russia e lui mi disse che gli piaceva andare dove lo adoravano. Il suo compagno mi disse che gli artisti sono come delle cagne che vanno da chi li coccola. Ebbene, sono una cagna anch’io».

Cosa manca a Teho Teardo per sentirsi veramente “arrivato” in ambito artistico/musicale? Magari una colonna sonora per un bel progetto internazionale?

«Non ho niente e non ho bisogno di niente, io suono, ecco cosa faccio e farò questo fino alla fine. Circa il cinema, vivere in Italia è un grosso limite, è difficile che un film italiano ottenga dei reali riscontri all’estero, non accade molto spesso».

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