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SFERA EBBASTA «Una volta che hai in mano una hit, alla fine, tutto il resto sono solo chiacchiere»

Per GQ Italia Sfera Ebbasta è l’artista musicale dell’anno e lo annuncia presentando la prima cover dedicata ai GQ Men of The Year. Tra le personalità del mondo della musica, dello spettacolo, della cultura e dell’intrattenimento che per GQ Italia hanno maggiormente caratterizzato il 2023 grazie alla loro creatività, al loro stile e alla loro influenza c’è lui, Gionata Boschetti, in arte Sfera Ebbasta.

18.323.573 stream X2VR” – il suo nuovo disco appena uscito – è l’album più ascoltato di sempre su Spotify in Italia nelle prime 24 ore, superando il suo stesso record raggiunto nel 2020 con “Famoso”. Risultati clamorosi anche sul fronte live: “$FERA €BBASTA | SNSR 2024” a San Siro è infatti già sold out.

Nell’intervista esclusiva l’artista, trentuno anni a dicembre, parla della sua evoluzione artistica, di musica, della sua musica, dei suoi momenti più umani, degli altri e dei figli spirituali che da lui han preso le mosse e che poi hanno mosso i primi passi. A GQ racconta del suo nuovo album, con cui è pronto a sovvertire tutto di nuovo.

sfera ebbasta«Finalmente potevo essere anche un po’ meno attento a quelle che sono le dinamiche di mercato, potevo fregarmene. Pensare al trend, pensare al successo per l’estate e così via. Avevo bisogno di tornare a fare musica con leggerezza. Non nel sound o nei testi, ma nell’approccio. Mi sembrava giusto tornare a farmi sentire su qualcosa che fosse più trap, ecco».

«Sentivo la voglia di riprendermi un po’ tutto quello che ho costruito in questi anni. Perché, diciamolo chiaro, dal 2016 in poi non solo la scena rap, ma tutta l’industria musicale è stata molto influenzata dal nostro avvento. Qualsiasi genere, qualsiasi tipo di artista ci ha sentito arrivare e si è dovuto adattare. Quindi, secondo me, arrivato a questo punto, sembrava anche giusto consolidare il fatto che sia io il capostipite di questo genere. Che sono ancora in grado di farlo. Anzi, che è ancora quello che mi piace fare. Perché alla fine, siamo sinceri: puoi essere Sfera Ebbasta, aver fatto dei pezzi pop, essere stato giudice di “X Factor”, ma alla fine io, come tutti noi, sono un rapper, quindi ho quella voglia di dimostrare di essere meglio degli altri a fare questa cosa. Non a livello di numeri, o almeno non solo. Volevo rimettere i puntini sulle i, ecco».

«La verità è che c’è stato un periodo ben preciso in cui la trap era diventata il vero pop. Ma secondo me era prima che si prendessero un po’ le misure, secondo me a un certo punto il vecchio pop ti aspetta sempre al varco, tornano a farlo funzionare. Sicuramente la trap non è più un genere di nicchia, perché ormai è stata sdoganata ed è sempre in classifica, però in Italia un po’ di pop ti serve sempre. O almeno così ti fanno credere. Questa è una vocina, un fattore, che ho sempre tenuto un po’ in considerazione per i vecchi dischi. Qua mi sono sentito più libero di fregarmene».

«Mi sento più libero di rischiare, adesso. Però è scontato: soprattutto nel rap, la crescita personale e quella artistica vanno di pari passo. Sono due cose che vanno abbastanza in parallelo: solitamente se hai una fase di stallo nella tua vita personale, anche la musica ne risente». Ma tutto questo deriva anche dal fatto che – ormai – ci si è anche un po’ stufati di rincorrere gli Stati Uniti? Cioè, stando molte volte là, con rapper di là, mi sono reso conto che alla fine le uniche differenze sono economiche, proprio di bacino di utenza. L’unica differenza è quanti milioni ci sono sul tuo conto e quanti invece sul loro. Quanto è grosso il loro orologio e quanto lo è il tuo. Ma poi la vita è la stessa: vai in studio, fai i concerti ed è tutto pieno, la gente sviene quando ti vede… Poi, oh, non rinnego nulla di quello che ho fatto. Cioè adesso possiamo dire queste cose della scena italiana, ma sai che culo ci siamo fatti per arrivare fino a qui? Ora sembra banale dire che la scena italiana è una scena di livello europeo, ma ci siamo sbattuti molto per far sì che questo accadesse».

«Se dovessi tirare una riga, sì, ci sono stati dei piccoli errori. Quel featuring che forse non avrei dovuto fare, quella foto che ora rivedi e ti chiedi “…come cazzo eri vestito”, quell’intervista che rileggi o che riascolti e ti chiedi perché hai dovuto dire quella cosa in quel modo. Però è normale, credo che non esista nessun artista sulla faccia della terra che abbia la carriera perfetta. Alla fine sia le cose più trash che le cose più cool mi hanno portato qua oggi. Non ho grossi rimpianti, se ti devo dire la verità. Ci sono ancora un paio di cose che vorrei fare, un paio di tasselli che vorrei completare, per potermi dire pienamente soddisfatto. Poi, oh, ovviamente non è sempre così. Ci sono momenti in cui mi sono sentito un coglione, momenti in cui ero convinto di star sbagliando tutto, momenti in cui non mi sono sentito all’altezza di quello che rappresentavo, momenti in cui mi sono sentito un miracolato. Però, ho capito con il tempo che sono solo fasi, sono fasi che ti portano a momenti come questo, positivi».

«I Dogo? Per la mia generazione loro a lungo sono stati l’esempio da seguire, il traguardo da raggiungere».

«Per me la musica in sé è la cosa più importante, più di tutti i pensieri. Una volta che hai in mano una hit, alla fine, tutto il resto sono solo chiacchiere».

L’intervista completa è disponibile su GQItalia.it e sul numero di dicembre di GQ Italia in edicola dal 28 novembre. 

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