CRISTIANO GODANO «Ciò che racconto coi miei testi è qualcosa di molto intimo e tenero»
Cristiano Godano, frontman dei Marlene Kuntz, con il primo album da solista “Mi ero perso il cuore” ha voluto spostare un po’ più in là l’asticella, prendendosi il rischio di confezionare un disco intimo, tenero, pieno di vulnerabilità. Abbiamo provato a parlarne con l’artista.
Il tuo esordio sembra un disco nato da un’urgenza umana molto forte, che ha spinto poi fortissimo le vele dell’ispirazione. Sono tutti brani nati in un momento preciso oppure te li sei ritrovati in mano un po’ alla volta?
«Come in tutti i precedenti dischi coi Marlene, i testi sono arrivati dopo le musiche. E queste, con il loro placido scorrere malinconico, mi hanno comunicato un mood ben preciso, quello che si può trovare nel disco. Ciò che racconto coi miei testi è qualcosa di molto intimo e tenero, qualcosa che mi riguardava molto in quel periodo, fra spossatezza spirituale e sentimenti elegiaci, e le musiche mi ci hanno condotto quasi in modo automatico. Non ho avuto nessuna resistenza da opporre».
Il tema dell’amicizia è sempre molto “scivoloso” per gli artisti maschi, che musicalmente l’hanno quasi sempre affrontato in maniera scanzonata (da Lucio Dalla con “L’anno che verrà” a Dario Baldan Bembo con “L’amico è”, passando per Mingardi con “Con un amico vicino”), oppure in maniera ermetica, e penso a De André con “Amico Fragile” o a Manuel Agnelli con “Oceano di gomma”. Tu hai voluto essere affettuoso e didascalico, affrontando di petto il rischio di banalizzare il tema. Hai avuto timori particolari nello scrivere il testo di “Ti voglio dire”? Ha subito molte correzioni?
«Non credo sia l’unico testo del disco a rischio banalizzazione. Quasi tutti in verità sono espliciti e inequivocabili nel loro essere disarmati e nel loro toccare situazioni a rischio. Non ho avuto il desiderio di “fingere” o di girare intorno ai problemi con parole e metafore raffinate per indorare la pillola o per rendere più oscuro il significato: per cui non c’è molto da immaginare. Ho cercato di essere realmente commovente, una volta preso atto che io per primo mi commuovevo parola dopo parola. In tal senso il rischio era ovunque, ma mi fido della mia penna e penso non mi permetta di scrivere cose banali. In ogni caso, nello specifico: ci sono state delle correzioni, certo. Ma solo perché dovevo trovare le migliori parole cantabili. Il “tema” e gli argomenti da sviscerare mi erano molto chiari. Li dovevo solo dire con le migliori parole possibili».
Resto sull’argomento. Il tuo rapporto con l’amicizia si è evoluto rispetto a quando eri più giovane? Insomma, l’amicizia assume un significato diverso a seconda delle stagioni della vita?
«Con il procedere dell’età mi sembra che i valori di cui da giovani abbiamo percezioni di riporto li si sperimenti con più consapevolezza e dunque li si affini. Ma forse sto ragionando per cliché… All’amicizia in realtà ho sempre dato molta importanza, e l’ho sempre sentita come un valore da non tradire. Nel tempo, ovviamente, si fa una selezione, più naturale che no, e chi rimane è chi è veramente degno. Ma anche questo in fondo mi sembra piuttosto ovvio».
In che misura Maroccolo e gli altri musicisti del disco hanno contribuito al risultato finale. Mi spiego meglio: sarebbe stato un album molto diverso se lo avessi lavorato tu da solo in fase di produzione?
«Non sarei stato in grado da solo di arrivare a questo risultato: non mi sono mai addentrato in una situazione solitaria con le registrazioni. Sono solo con me stesso solo quando scrivo i miei testi e quando penso le canzoni (che poi, se si tratta di MK, condividerò in una seconda fase). Gianni (Maroccolo, ndr), Luca (A. Rossi, ndr) e Simone (Filippi, ndr) sono stati esemplari nel capire appieno il tipo di atmosfera che volevo per questo disco, e oltre a capirlo hanno contribuito in modo molto attivo a ottenerla».
Tutto il disco è “contaminato” da una purezza d’animo che spiazza se teniamo a mente che l’autore è comunque una persona adulta, che ha vissuto varie fasi della vita. Eppure molti pezzi sembrano farina del sacco di un adolescente con tante speranze ancora davanti. Come sei riuscito a portare in superficie questa purezza d’animo dallo sporco di chi invece il gioco della vita lo conosce già bene rispetto a un giovane ragazzo?
«Non mi è facile dare una risposta. Forse la soluzione sta in quella percezione della auto-commozione di cui parlavo: mi è sembrata a un certo punto “l’arma vincente” del lavoro, che mi permetteva fra l’altro di offrire di me qualcosa di diverso rispetto al mio standard coi Marlene. Era una speranza, non sembrare uguale a “quel” Godano, ma non era certo scontato il risultato. Dal tenore della tua domanda pare io ci sia riuscito, e questo per me è motivo di orgoglio».
“Ho bisogno di te” e anche altre canzoni del compact hanno volti di persone reali oppure rappresentano semplicemente dei concetti? Insomma, potremmo dare dei nomi e dei cognomi?
«Potremmo… Non di tutte, ma di alcune potremmo…».