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FILIPPO GRAZIANI Dai matrimoni in... incognito al palco di Sanremo

«Molti si immagino i figli d’arte come dei nababbi che girano in Porsche. Noi non giriamo in Porsche, io vado in giro con una Multipla a metano». Non è una presa di distanza dalle sue origini, quella di Filippo Graziani, figlio del celebre Ivan. «Sono orgoglioso della mia famiglia, ma detesto i luoghi comuni».

Il tuo cognome non è stato utile in ambito musicale, Filippo?

«Magari quando tuo padre è in vita ti può aiutare, ma quando non lo è, non è che può alzare il telefono e dire al discografico: “…ciao, guarda che ti sto mandando mio figlio, trattalo bene”. Inoltre nell’ambito musicale tutti dimenticano in fretta e non ci sono particolari crediti da spendere se tuo padre non c’è più».

L’ombra di Ivan aleggia in tutte le interviste.

«E’ vero. Ormai ho risposto a ogni tipo di domanda. Ma sai qual è la cosa che più detesto? Quando si tenta di usare lui per strapparmi una lacrimuccia, per fare sensazionalismo. Con noi certi giornalisti cascano male, non siamo una famiglia dalla lacrima facile».

Passo indietro. Sei arrivato alla chitarra tardi, a 18 anni. Sembra incredibile…

«Ti stupisce che in casa mia nessuno mi abbia mai spinto a suonarla?».

Un po’ sì…

«Nessuno lo ha mai fatto, e credo sia stata la formula magica per permettermi di trovare la mia idea di musica. Credo sia stata una mossa strategica. Forse se mi avessero obbligato a imbracciarla, l’avrei rifiutata come di solito fanno tutti i figli quando un’imposizione arriva dall’alto. Nonostante una casa piena di strumenti e musicisti, nessuno mi ha mai spinto verso un certo tipo di musica».

Il rap di adesso è spesso vestiario, atteggiamenti e pochi contenuti. L’epoca d’oro, quella dei Sangue Misto e di Kaos, tanto per intenderci, è passata, però mi piace il percorso di Salmo perché mi ricorda quel rap che amavo da ragazzino, e inoltre sono contento che ci siano ancora dei “vecchietti” come Kaos ed Esa che continuano a produrre cose interessanti

Da ragazzino il grande amore è stato il rap, vero?

«Assolutamente sì. Il rap dei vecchietti, come lo chiamo io oggi. Sono cresciuto con il Wu-Tang Clan e Tupac. Oggi è rimasto poco di quella rivolta sociale degli Anni Ottanta e Novanta, il rap di adesso è spesso vestiario, atteggiamenti e pochi contenuti. Comunque il rap resta un grande amore, e nel mio prossimo disco ci sarà il recupero di certe sonorità legate a quella scena».

Del rap che si fa in Italia ti piace qualcosa, oggi?

«L’epoca d’oro, quella dei Sangue Misto e di Kaos, tanto per intenderci, è passata, però mi piace il percorso di Salmo perché mi ricorda quel rap che amavo, e inoltre sono contento che ci siano ancora dei “vecchietti” come Kaos ed Esa che continuano a produrre cose interessanti».

Dopo il rap è arrivata la chitarra…

«Quando ho iniziato a suonarla ho riscoperto i Beatles e gli Stones. Non mi interessava all’epoca suonare per inventarmi una carriera, ma suonare per potermi esibire dal vivo. Mi piaceva l’idea della band, del palco, del pubblico, il concerto davanti a persone sconosciute. Così ho suonato ovunque: bar, pub, un sacco di matrimoni. Non credo esista un posto assurdo che non mi ha visto suonare».

Il figlio di Ivan Graziani ai matrimoni. L’immagine strappa un sorriso…

«Io e mio fratello suonavamo in incognito. Non volevamo rotture di palle, e quindi non dicevamo a nessuno che eravamo i figli di Ivan Graziani. Ci interessava soltanto suonare dal vivo, fare le canzoni dei Beatles, dei Led Zeppelin, degli Stones».

In una recente intervista hai detto: “Se vivi a Milano e se esci la sera incontri quaranta persone con cui puoi far accadere cose. Questo è il lavoro da fare”. Sembra un modo Old School di promozionare la propria musica…

«Oggi coi social puoi essere presente e puoi ricavarti uno spazio importante. Puoi avere una spinta, ma le cose poi vanno portate sul campo, cioè vanno tradotte in azioni concrete nella vita reale. Io adoro Milano, ci vado spesso e ci ho abitato tanto. Mi piace perché è una città che fa accadere le cose: c’è un bel giro di locali, c’è disponibilità delle persone verso proposte nuove e magari esci una sera a bere una birra e incontri una persona che poi ne conosce un’altra ed ecco che dal niente ti si è aperta una porta. A me è capitato diverse volte».

C’è chi ai social e alle pubbliche relazioni preferisce i talent. Che ne pensi?

«Non mi piacciono i talent, è la base su cui si fondano che è sbagliata: come fai a giudicare la musica? Per sua natura è la forma d’arte più soggettiva che esista. Non puoi dire che quell’artista è più bravo di quell’altro, perché il mio gusto è diverso dal tuo e da quello di milioni di altre persone. Prendi i Kraftwerk: alcuni loro dischi mi fanno piangere da quanto sono intensi, ma  magari per te o per un’altra persona sono un manipolo di soggetti che schiacciano dei bottoni e fanno musica orrenda. Insomma, come si può giudicare la musica?».

Non ti vedresti mai nei panni di coach in un talent?

«Non lo so, di primo acchito mi verrebbe da dirti: “Lascia perdere, non è il mio ambiente”. Poi magari fanno un format dove la musica è davvero al centro di tutto e ci ripenso. Comunque non mi vedo a recitare una parte per far felice il pubblico: non sono il tipo che piange a comando per strappare qualche punto di share».

Non sei neppure il tipo che finisce sui giornali scandalistici. Della tua vita privata si sa poco…

Sorride: «Sono in gamba, non mi faccio beccare. Battute a parte, anche io faccio le mie cavolate ma le tengo ben nascoste. Quando finisci al centro del gossip è perché il 99% delle volte ci vuoi finire. Non vivo recluso in casa, diciamo che sono discreto e certi giornali hanno bisogno di personaggi che fanno sensazione per vendere, non se ne fanno niente degli artisti discreti».

Sanremo si fa una volta sola nella vita? 

«Io ci riandrei senza problemi, mi sono divertito un sacco quest’anno. Mi è piaciuto molto partecipare a un evento così grande, mi piace stare sotto pressione. Per la verità ero preparato a una battaglia ancora più pesante, perché avevo il ricordo dell’esperienza di papà: i suoi erano festival davvero tosti. Comunque anche la mia è stata una bella battaglia. Inoltre è stato bello poter parlare della mia musica con così tante persone».

Il tuo ultimo disco – “Le cose belle” – è fuori già da un po’. Senti vecchie certe canzoni?

«Per me le canzoni diventano vecchie 15 minuti dopo che le ho scritte. Passato quel momento, la canzone è datata. Mi piace andare avanti. Nell’ultimo disco c’erano tante influenze e credo che nel nuovo ci sarà sempre questa sorta di schizofrenia. La musica, per me, è sfida con me stesso, un modo per capire fin dove posso arrivare, magari mescolando i linguaggi. Attualmente sono in fase di pre produzione: accumulo provini dalla mattina alla sera. Nei primi mesi del 2015 dovrei uscire con un album nuovo».

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