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?ALOS «Evoco ciò che è scomodo, quello che normalmente le persone e la società ti insegnano a reprimere»

Musicista e performer sperimentale, Stefania Pedretti è ?Alos ma è anche meno attratta dal buio di quanto la sua musica potrebbe lasciare intendere. «So che può suonare strano, ma nei miei dischi, nella mia musica, sia registrata che live, cerco di far percepire il lato più oscuro e viscerale del sé collettivo, questo perché al contrario io sono una persona positivissima e anche in fase di registrazione la mia musica non nasce da una liberazione o da un dolore, ma da un gran benessere. Cerco di far capire che nel buio c’è sempre luce. “Matrice”, il mio nuovo lavoro, è un disco doppio, nel senso che in esso mostro come le tenebre e la luce siano la stessa cosa, una parte del tutto. Come Ecate si può camminare da una parte all’altra dei vari mondi».

In un momento storico e sociale in cui si parla di ripresa, uscita dal tunnel, rilancio, le tue parti vocali sembrano quasi suggerire di non farsi troppe illusioni. Ti chiedo dunque quali sono secondo te le cose per le quali vale la pena spendersi oggi con ottimismo nella vita quotidiana. Forse il mettere al mondo dei figli?

«Per me ?Alos, la mia musica, il mio modo di cantare, ecc. sono un modo per uscire dal tunnel, la mia illusione: se tutte e tutti cominciassero ad esprimersi, guardandosi nel profondo anche nel lato più pauroso del proprio Io, cominceremmo a stare molto meglio. Io sono molto ottimista sia nella vita sia nei confronti del futuro e se non mi piace qualcosa lotto per cambiarla. Sicuramente non sono per il mettere al mondo figli, o meglio: non vedo in questo atto qualcosa che possa dare speranza o altro, in tutta sincerità io sono per l’estinzione del genere umano così come è ora».

Il tuo disco è molto cinematografico. Noi abbiamo tirato fuori l’accostamento con “Martyrs”. E’ stato ispirato da qualche lettura particolare o da qualche pellicola?

«Mi avete fatto un grossissimo complimento citando “Martyrs”, film che adoro, anzi è uno dei miei preferiti. L’album non è ispirato a qualche film in particolare, ma sicuramente all’emozione, alle atmosfere che alcuni film generano. L’idea di base in “Matrice” (come forse per “Martyrs”), è proprio il mostrare il lato più malato, angosciante e terrorizzante dell’essere umano. Questo non deve far pensare che io-musicista o il regista siamo persone che amano la violenza, anzi, la mostriamo perché ne rifuggiamo e la odiamo».

Non perché nelle mie foto impugno un’ascia vorrei uccidere una persona o tagliare un albero, anzi, è proprio il contrario, per chi non lo sapesse sono una super animalista, contro la violenza e amante della natura

Hai vissuto a Berlino per un po’ di tempo. Si va a Berlino per moda oppure cosa c’è di davvero speciale da respirare?

«Io ci sono andata nel 2006 fino al 2010 perché con Bruno (Dorella, il leader di diversi progetti fra cui Bachi Da Pietra, ndr) avevamo voglia di vivere per un periodo all’estero e Berlino era super interessante allora, come lo è anche oggi, anche se per i miei gusti è troppo di moda; per questo mi sono trasferita e non voglio più tornarci a vivere. Detto questo, ciò che rende speciale Berlino è l’aroma di libertà che si respira, tutti cercano di esprimersi o di ritrovarsi. Il bello sarebbe riuscire a trasportare quell’aroma e ciò che si è imparato anche nella propria nazione originaria e nelle altre».

Sei da sempre molto sensibile al ruolo della donna nell’arte. Movimenti come quello delle Pussy Riot o delle Femen li senti vicini?

«Sono nata musicalmente e come persona nel periodo riot girl, del femminismo punk. Da sempre con ?Alos studio e rifletto sul ruolo della donna nella nostra società. Mi sento quindi vicina a tutti i movimenti femminili e femministi, anche se attualmente sono più interessata al superamento del binarismo di genere, alle teorie queer e del post femminismo».

“Matrice” è un triangolo nero con la punta verso il basso. Il triangolo, pochi lo sanno, veniva usato per identificare gli asociali nei campi di concentramento nazisti

Il titolo del tuo disco fa subito venire in mente qualcosa di personale, di unico. La tua matrice, se esistesse, che forma avrebbe?

«Ottima riflessione e domanda, d’istinto direi un cerchio, ma in realtà “Matrice” è un triangolo nero con la punta verso il basso. Il triangolo, pochi lo sanno, veniva usato per identificare gli asociali nei campi di concentramento nazisti, questi “asociali” erano principalmente anarchici, lesbiche, prostitute, ecc., quelli che erano visti come feccia».

Nel disco “parli” di morte e sembra quasi non spaventarti. In questi giorni le cronache parlano di un uomo che si è ucciso portandosi dietro altre 149 persone. Morte e suicidio in questi tempi di crisi e crollo delle ideologie sembrano essere diventati temi da maneggiare con più cura del solito. L’artista può davvero affrontare certe tematiche senza filtri oppure deve sempre premettere al suo pubblico che l’arte è anche un po’ finzione? E in quest’ottica, quanta finzione c’è nella tua musica?

«Nella mia musica non c’è finzione anzi, a volte spaventa per quanto sia sincera, diretta e finisca nelle profondità di chi l’ascolta. Detto questo, io “parlo” di morte, oscurità malessere e molto altro proprio per stare sereni nella vita, si chiama sublimazione. Non perché nelle mie foto impugno un’ascia vorrei uccidere una persona o tagliare un albero, anzi, è proprio il contrario, per chi non lo sapesse sono una super animalista, contro la violenza e amante della natura. L’arte dovrebbe servire per esprimere in astratto le sofferenze ed i malesseri in modo tale che sfogandoli, non li si riversi nella vita reale e soprattutto verso altre persone. E’ inammissibile ciò che ha fatto quel pilota, come chiunque crei sofferenza ad altri per malessere personale».

In un’intervista hai detto: “Le mie canzoni non hanno testi perché non voglio insegnare niente a nessuno”. Qual è lo scopo delle tue canzoni in relazione con il pubblico? Intrattenere? Colpire? Scuotere? Spaventare?

«La mia musica – spiega ?Alos – in primis nasce da un’esigenza personale: esprimermi e affrontare alcuni temi a me a cuore. Poi per quel che riguarda l’esterno, spavento, scuoto perché la mia musica nasce dal mio profondo, dal caos che mi/ci circonda ed è questo che spaventa. Io sono solo un mezzo, una parte di quel filo che unisce tenebre, luce, inconscio, conscio, evoco ciò che è scomodo, quello che normalmente le persone e la società ti insegnano a reprimere, a non guardare. Sono il triangolo nero, il queer o uno specchio, non insegno, mostro e basta».

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