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EMIDIO CLEMENTI «A me affascinano le persone che si pongono nei confronti dell'esistenza in solitudine»

Sorge è un progetto di musica elettronica, nato nel 2014, da Emidio Clementi, cantante dei Massimo Volume e scrittore, e Marco Caldera, produttore, musicista e tecnico del suono. In questa intervista proviamo a muoverci sulla linea del passato, del presente e dell’ignoto con Emidio. Tra elettronica e Dio, tra figli e bagliori di vita. Ovviamente parliamo anche di “La guerra di domani“, il disco di Sorge.

Negli ultimi anni sei spesso uscito fuori con cose tue e senza i Massimo Volume alle spalle. Per necessità espressiva? Per maggior sicurezza? Perché ogni artista, prima o poi, deve “uccidere” ed emanciparsi dal proprio gruppo di origine?

«Io credo perché i Massimo Volume non possono contenere tutto ed è un bene che ognuno di noi abbia una carriera parallela, in cui esprimersi in maniera diversa, aumentando il bagaglio di esperienza, sperimentando altre situazioni».

Nel disco di Sorge compaiono spesso – in primo piano o sullo sfondo – le tue figlie. Questo è un buon periodo storico per allevare dei figli? 

«Il desiderio di fare figli e allevarli credo sia una spinta più forte della paura del futuro. Sono nati figli durante i periodi di guerra, nella povertà più assoluta. Tanto per essere banali, la vita è dura, ma è pur sempre la vita».

Per spiegare “Noi facciamo ciò che siamo”, dici: “…non avendo confidenza con Dio chiedo conforto alle persone che ammiro”. Per quel poco di confidenza che hai, che idea ti sei fatto di Dio? Che tipo è?

«Non riesco ad afferrare l’idea di Dio, mi risulta evanescente. Provo fascinazione per Cristo attraverso la sua incarnazione. Lo vedo muoversi nel mondo, in uno spazio a me familiare. L’immagine di Dio mi fa venire in mente il Vuoto buddista, un concetto che faccio fatica ad assimilare senza perdermici».

Collegandomi alla domanda precedente, quali sono le persone da ammirare oggi? 

«A me affascinano le persone che si pongono nei confronti dell’esistenza in solitudine, con una loro personale visione del mondo. Penso a tanti scrittori, quelli per esempio citati in “Noi facciamo ciò che siamo”».

Anche in questo disco, i tuoi testi sono stati vestiti con l’elettronica. E’ il vestito migliore per i tuoi racconti?

«E’ una possibilità , ma non l’unica. Mi piacerebbe per esempio registrare un disco come “The Marble Index” di Nico con solo un quartetto di archi. Vedo la musica, così come le parole, come un mezzo espressivo. Non sono legato alla natura dei suoni, ma a quello che possono comunicare».

Collegandomi alla domanda precedente, mi piacerebbe chiederti cosa ricordi dell’esperienza “El Muniria”.

«Fu un disco faticoso, dal punto di vista creativo e umano. Mi mise in crisi, ma è un periodo a cui ripenso spesso. Eravamo in una situazione simile ai protagonisti di “Falso Movimento” di Wim Wenders».

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