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PATRIZIA LAQUIDARA «Mi piace spaziare, sorprendermi e compiere traiettorie nuove»

Siamo affascinati dalle persone che non sono – solo – quello che vediamo, ma hanno una seconda e terza lettura. Patrizia Laquidara è un universo che va oltre la musica, e abbraccia passioni varie: arte, letteratura, psicogenealogia e psicomagia. In questa intervista mescoliamo sacro e profano, il grande Jodorowsky al mitico Pippo Baudo. Ci muoviamo senza bussola, seguendo una rotta: «Mi piace spaziare, sorprendermi e compiere traiettorie nuove».

Il Festival di Sanremo è terminato da poco. Che ricordi conservi della tua partecipazione nel 2003?

«Ricordo l’emozione forte, il volto di mia madre tra il pubblico, la gioia del mio staff, le ore in albergo con i musicisti a suonare, le foto, le interviste a tutte le ore, i piedi scalzi sul palco dell’Ariston e Baudo che, alla fine della mia esibizione, mi infila le scarpe come il principe con Cenerentola. Sono tutt’ora grata a quell’esperienza perchè mi ha regalato un momento di visibilità prezioso per la mia carriera».

Sei nell’ambiente da diversi anni. Com’è cambiato il fare musica in Italia negli ultimi decenni? Le cose sono migliorate o peggiorate?

«In ogni situazione che viviamo c’è un lato positivo e uno negativo. Certo, i dischi non si vendono più. Alla televisione la visibilità è dedicata soprattutto ai Talent show. Ma è anche vero che ci sono piattaforme mediatiche che consentono a molti artisti di farsi conoscere, penso soprattutto a quelli della scena più alternativa. E’ una bella sfida, appassionante, quella di saper “sfruttare” questi mezzi con intelligenza e creatività facendo in modo che passi anche un’idea, un personaggio, una persona, un modo di sentire, e non solo il mezzo, cosa che invece succede spesso con la televisione che è un po’ come Polifemo, si mangia tutto».

Jodorowsky è uno dei tuoi punti di riferimento. Cosa ti affascina della sua arte? 

«Più che un punto di riferimento è stato un autore di cui ho letto quasi tutti i libri. I temi della psicogenealogia e della psicomagia, spesso da lui trattati, mi hanno appassionata per anni, così come il frugare dentro a un albero genealogico che spesso è, per tutti noi, un meraviglioso incubo».

Vi siete mai incontrati?

«Ci siamo conosciuti di persona durante le riprese di “Ritual – Una storia psicomagica” (di Luca Immesi e Giulia Brazzale) film a cui ho partecipato interpretando una parte e la colonna sonora finale scelta dal mio album “Il canto dell’anguana”. Lì ho avuto l’occasione di capire quale genio avessi davanti. E quando mi ha voluto fare i tarocchi ho compreso che lui non legge le carte, lui è il tarocco».

A quali altri artisti ti senti legata?

«Mi sento legata a molti altri artisti, devo dire non tutti musicisti. Spendo i miei soldi quasi solo in libri e quando esco da una libreria lo faccio sempre a piene mani quindi mi appassiona molto la scrittura tra cui anche la poesia, ma non ho un autore preferito, non ho un regista preferito a cui mi sento particolarmente legata. Mi sento legata a un luogo, a una terra ad alcune persone, ma per quanto riguarda le forme artistiche e la mia formazione mi piace spaziare, sorprendermi e compiere traiettorie nuove».

Le tue foto su Facebook fanno sempre il pieno di elogi. Quanto è importante curare l’immagine, oggi, per raggiungere i propri obiettivi artistici?

«Credo sia importante farlo in una società che è basata quasi esclusivamente sull’immagine. Però è bello farlo quando non dobbiamo rinunciare a troppi pezzi di noi».

Spiegati…

«Voglio dire: per natura sono sempre stata abbastanza contraria a parlar troppo di me sui social, per una specie di ritrosia. Ho sempre pensato di farlo tramite le canzoni, la mia voce, quello che faccio. Ora però trovo bello regalare qualcosa di più di me al pubblico che mi segue. Lo faccio perché mi viene spontaneo farlo: se ho una bella foto la pubblico, se ho un pensiero che voglio comunicare e che esula dalla musica, spesso lo pubblico. Così, perché mi piace raccontarmi e mi piace sentire raccontare, infatti il mio genere letterario preferito è la biografia. Sono comunque sempre più consapevole che Facebook, un mezzo che uso spesso, non è uno spazio per dialogare ma ci dà invece la possibilità di addentrarci nel microcosmo di ognuno. Con la bellezza e i rischi che ci sono nel farlo».

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