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LEVANTE «Sembriamo tutti depressi, forse perché lo siamo...»

«Ha tentato di ricattarmi: aveva dei nostri filmati, file privati. Mi chiamava in continuazione: “Sto male”, mi implorava, e così passavo ore al telefono a cercare di tranquillizzarlo. Mi ha scritto 980 mail nel giro di un mese, che significa circa 30 ogni giorno». La cantautrice Claudia Lagona, in arte Levante, racconta per la prima volta, in un’intervista di copertina molto intima, di essere stata con un uomo «che non si è rassegnato al mio “non ti amo”». Ripercorre quei momenti fino alla denuncia e spiega perché ha deciso di condividere questo pezzo di verità ora, a distanza di una decina d’anni dall’accaduto.

levanteIl nuovo numero di Vanity Fair è infatti dedicato all’empatia, «un valore chiave di questo momento storico», scrive il direttore Simone Marchetti nell’editoriale. «L’empatia è un’educazione all’ascolto degli altri, una volontà di immedesimazione nella vita degli altri, una sospensione del giudizio e soprattutto del pregiudizio. Abbiamo scelto di celebrare e raccontare i tanti volti di questo valore in occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale dei diritti delle donne».

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Che cosa le ha fatto?
«Ha tentato di ricattarmi: aveva dei nostri filmati, file privati. Mi chiamava in continuazione: “Sto male”, mi implorava, e così passavo ore al telefono a cercare di tranquillizzarlo. Mi ha scritto 980 mail nel giro di un mese, che significa circa 30 ogni giorno. Tutti attorno a me erano preoccupati: i famigliari, le amiche… Io ero spaventata, ma forse non abbastanza, in quel momento. Non pensavo che arrivasse a farmi del male, temevo più per lui, come raccontava alla sorella Giulia Cecchettin (la studentessa di Ingegneria uccisa l’11 novembre 2023 dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ndr)».

Il paragone è forte.
«A me, a differenza sua, è andata bene. Sono viva».

Che stato d’animo aveva?
«A un certo punto ho provato vergogna, molta vergogna. Mi sentivo stupida: non sapevo come gestire la situazione che proseguiva da un paio di mesi. Fino a quando un amico avvocato mi ha consigliato di denunciare».

Come si fa a perdonare un uomo così?
«Ho capito di non averlo incontrato nell’amore, ma nel dolore. Il suo e il mio».

Lei sta provando a normalizzare la fragilità. Per esempio condividendo la sua depressione post partum, con la canzone “Vivo”, con le interviste e con il progetto “Levante Ventitré – Anni di voli pindarici”.
«Tanti oggi parlano di depressione. L’ultimo è stato Sangiovanni. Gli ho scritto un messaggio: “Io sono qua. Se sei in una stanza buia, e io ci sono stata, sappi che puoi bussare a questa porta quando vuoi”. Sembriamo tutti depressi, forse perché lo siamo. E allora diciamocelo. Ecco, lo dico: sono triste e prendo i farmaci».

Continua a prenderli?
«Sì, i tempi di cura sono lunghi. […] Ancora oggi le persone meno sensibili non capiscono bene la depressione: non sanno che chi ne soffre possa non rendersene conto. Per me è stato così. Non ne avevo contezza: ero felice per l’arrivo di Alma e volevo buttarmi dalla finestra. Oscillavo tra la gioia di aver dato la vita e la tristezza di non avere più me. Mi ha salvata Alma: sono cresciuta senza un genitore, non le avrei mai lasciato attraversare la medesima sofferenza».

Come vive il fatto che sua figlia avrà facile accesso ai supplementi di dolore che lei ha attraversato?
«Non ho paura che Alma legga della depressione post partum o che la sua mamma si è cacciata nei guai. Di certo glielo racconterò prima io».

L’intervista completa è disponibile sul numero di Vanity Fair in edicola dal 6 marzo e sul sito vanityfair.it

Giornalista: Chiara Oltolini
Fotografa: Joseph Cardo
Servizio: Aurora Sansone
Fashion Credits: Cover Look: Abito ricamato a mano e guanti, Givenchy; Orecchini con diamanti e smeraldi, Crivelli

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