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GIORGIO CICCARELLI «Sanremo? E' un’esperienza che ti getta in una realtà alternativa»

Non vogliamo rubarvi troppo tempo con un’introduzione troppo lunga, perché l’intervista è già di per sé corposa e il personaggio non ha bisogno di grandi presentazioni. Per Giorgio Ciccarelli anche il 2017 sarà un anno con la valigia in mano: c’è un tour da affrontare, e partirà il 21 gennaio da Vicenza.

Nel 2016 hai suonato parecchio. Che Italia hai visto? L’Italia di provincia conserva sempre il fascino di 20/30/40 anni fa oppure la crisi dell’ultimo decennio l’ha impoverita e imbruttita?

«Io farei un discorso complessivo legato alla crisi dell’ultimo decennio che non distingue la provincia dalla grande città, fatte salve le differenze, diciamo così, antropologiche, degli abitanti delle due realtà. Sì, ho trovato un’Italia impoverita, ma dal punto di vista dell’interesse culturale, che forse è legato alla crisi, ma fino ad un certo punto, perché, se faccio un parallelo con la mia esperienza di ventenne assolutamente squattrinato, registro una differenza clamorosa».

In che senso?

«In passato c’era la voglia, l’interesse di conoscere qualsiasi forma d’arte; c’era il confronto, c’erano gli spazi, (soprattutto quelli occupati) che offrivano una visione della realtà molto vicina al vissuto, agli interessi e alla fame di cultura di noi giovani. Era netta la differenza tra la stantia proposta culturale mainstream fatta di nani e ballerine e quello che ti veniva proposto, se solo avevi la voglia e la testa per andartelo a cercare. Oggi è tutto drammaticamente omologato, shakerato, digerito e ributtato sul tuo smartphone e questo provoca una sorta di anestesia culturale, cioè, hai tutto a portata di click, ma non approfondisci, ti dici, tanto è lì, prima o dopo me lo guardo o me lo leggo, ma questo, dopo, non succede…».

Dimmi qualcosa di positivo…

«Tornando al mio ambito, cioè quello musicale, la cosa positiva che ho notato è che ci sono dei promoter, dei gestori di locali che hanno voglia di fare, di proporre, di togliere spazio ai tavolini per fare un palco e far suonare, certo siamo distanti dai club degli Anni ’90, primi 2000, ma avverto una sorta di ripartenza, soprattutto nelle realtà di provincia e questo mi fa ben sperare…».

Milano, invece, la tua città, com’è cambiata in questi anni? Resta sempre un luogo capace di ispirare un artista?

«Uhm, ci vorrebbero pagine per rispondere alla domanda “Com’ è cambiata Milano i questi anni?”. E poi in quali anni? Forse iniziano ad essere troppi, io ho visto i Sound all’Odissea a Milano nel 1984. La risposta che ti ho dato prima faceva riferimento alla mia giovinezza vissuta a Milano e ti posso ribadire il fatto che, nelle difficoltà degli Anni ’80 e dei primissimi ’90, non c’è gara con la Milano d’oggi; Milano era una fucina di talenti, di posti dove incontrarsi, dove vedere cose nuove e sentire concerti, per tutte le orecchie».

Ti vengono in mente esempi?

«A memoria ti cito: il cinema Alcione occupato in Piazza Vetra, il Virus, il Leoncavallo, l’Helter Skelter, la Libreria Calusca, Conchetta, il Bloom di Mezzago, il Circolo Anarchico Ponte della ghisolfa, Brera occupata, Stampa alternativa, ma anche solamente la fiera di Sinigaglia che era un luogo d’incontro, i cinema d’essai. Insomma, luoghi, non siti, non blog, no social, nessuna tastiera dietro la quale nascondersi, le cose che avevi da dire ad una persona, le dicevi guardandola negli occhi e a Milano, potevi dire e fare molto! E, per tornare alla tua domanda, Milano era sicuramente un luogo capace d’ispirare un artista, oggi, non credo che il vivere a Milano ti dia un’ispirazione particolare, ma questo è solo il mio parere. Nel 2005 coi Sux! ho fatto un disco, “Dentro la città”, completamente ispirato da Milano, è stato una sorta di omaggio, di regalo di chiusura dei rapporti, infatti oggi, pur vivendoci ancora, non frequento Milano».

Le prime date annunciate del tour 2017 ti vedranno suonare spesso e parecchio al sud. Un caso o una scelta voluta?

«In questi anni, nei miei frequenti giri musicali, il sud è sempre stato penalizzato, non per scelta, ma è capitato così. Quando c’è stato il momento di scegliere l’agenzia di booking, avevo chiaro in mente di volere una classica inversione di tendenza. La Fabbrica di Giovanni Gigantino ha radici ben piantate al sud, infatti delle 47 date fatte l’anno scorso, almeno 30 sono state fatte sotto Roma. Con questo nuovo tour la situazione non sarà differente, riuscirò a fare anche 4 date in Sicilia e questo mi fa particolarmente felice, ovviamente, una volta saziata questa voglia di sud, tornerò a battere in lungo e in largo la padania e spero che ciò avvenga questa estate».

L’espulsione forzata – non saprei come altro chiamarla – dagli Afterhours ha lasciato ferite profonde all’epoca. Ferite che oggi si sono cicatrizzate? Vi siete mai chiariti tu e Manuel?

«Non c’è molto da chiarire, io a questa domanda rispondo sempre come al solito: Manuel aveva tutto il diritto di cambiare, di estromettermi dalla band se non aveva più voglia di suonare con me, non eravamo sposati. Ma poteva dirmelo così come te l’ho detto io, non sarebbe stato facile per me, ma almeno me ne sarei fatta una ragione, invece mi ha raccontato una serie di palle infinite, sul fatto che mi stimava musicalmente, sul fatto che voleva continuare a collaborare con me in un suo eventuale disco solista, insomma, tutte panzane evidentemente dette per indorare la pillola e per tenermi buono, non so per quale ragione, magari pensava che avrei intentato una qualche causa legale, proprio non lo so. Sta di fatto che, una volta scoperte le carte, tra l’altro leggendo delle sue interviste nelle quali parlava di me in termini non precisamente eleganti, i rapporti si sono inevitabilmente interrotti. La cosa buffa è che recentemente ho letto un passo del libro scritto da Guglielmi su Manuel, in cui lo stesso Manuel parla di me come di un elemento sempre positivo all’interno della band, un collante nei momenti di crisi, si vede che ha cambiato idea…».

Che effetto ti ha fatto vedere Manuel a “X-Factor”?

«Ho visto qualche puntata della prima stagione di “X-Factor” per capire cosa fosse: è un classico programma della tv generalista che proprio non m’acchiappa, di conseguenza non mi ha fatto nessun effetto vedere Manuel a “X-Factor”, semplicemente perché non l’ho visto».

A febbraio sarai in tour ma al momento non ci sono date nella settimana del Festival. E’ meglio vederlo da casa o viverlo da dentro Sanremo? Tu che ricordi conservi di quell’esperienza e soprattutto ti sei mai immaginato su quel palco da solo?

«Per Sanremo vale lo stesso discorso di “X-Factor”, è un programma che non ho mai seguito, almeno per più di 10 minuti consecutivi, è una palla mai vista, è un programma bolso, fatto per anziani inebetiti. Parteciparvi però è stato eccezionale e soprattutto lo rifarei al volo, da solo o con chiunque me lo proponesse. Dal punto di vista socio-antropologico è un’esperienza che ti getta in una realtà alternativa, ti senti in un Matrix e se te lo vivi bene, senza stress ed aspettative, è divertentissimo; dal punto di vista musicale, poi ti trovi a proporre la tua musica ad una sterminata quantità di gente e ciò è sempre positivo».

Raccontami un aneddoto…

«Per dirti come cambiano le cose e, per quanto mi riguarda, è giusto che sia così; ricordo che avevamo scelto un albergo fuori Sanremo e dovevamo tenere un “basso profilo” perché Manuel aveva il timore di essere risucchiato nel vortice televisivo, addirittura aveva rifiutato di partecipare a “Porta a Porta” di Bruno Vespa per questo motivo, ed ora, curiosamente, è ovunque in tv. Ribadisco, nessun giudizio, anzi, per me fa bene, l’importante è non fare prima le crociate ed essere cosci del fatto che “Le cose cambiano”».

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