AIR Ben Affleck
Mettiamola così: è un film che si può vedere, ma rivedere due volte sarebbe piuttosto pesante. Perché alla fin fine “Air” è una pellicola il cui scopo è celebrare, ma fatica ad avere una narrazione fluida e scorrevole, e questo rende l’opera di Ben Affleck incompiuta.
Il cast è di primo ordine: Affleck alla regia e nei panni del proprietario della Nike, Matt Damon imbolsito nel ruolo di Sonny Vaccaro, e c’è anche un capellone Jason Bateman che sinceramente non aggiunge granché alla pellicola. Stesso discorso per Viola Davis nei panni della madre di Michael Jordan (pare consigliata dal mito stesso).
La trama. 1984, Beaverton (Oregon). Nella sede della Nike il manager Sonny Vaccaro, esperto di basket, è alla ricerca di giovani talenti a cui proporre un contratto di sponsorizzazione, per rilanciare il marchio che all’epoca era fortemente votato al running e con quota di mercato, nel settore del basket, nettamente inferiori a colossi come Converse e Adidas. Sonny decide di investire tutto il budget messogli a disposizione dalla dirigenza per chiudere un contratto con la stella emergente del basket: Michael Jordan. Per riuscire nel suo obiettivo, deve vincere le resistenze del suo CEO Phil Knight, del manager di Jordan e dello stesso Michael, all’epoca molto più attratto dalle sirene dell’Adidas.
La storia è abbastanza semplice e va a canestro senza grossi sussulti: la Nike ha bisogno di svoltare e ha l’intuizione giusta nel momento giusto, cioè mettere sotto contratto (seppur tra mille difficoltà) il giovanissimo Michael Jordan, che riuscirà a strappare alla casa di Oregon un contratto particolare e a confermare la visione lungimirante avuta da quelli della Nike.
Onestamente – forse – non ci volevano due ore per raccontare una trama di questo tipo, che senza dubbio non farà la gioia di Adidas e Converse, visto il modo in cui sono tratteggiate nella pellicola, ma alla fine “Air” è un’americanata e come tale va giudicata e moderatamente apprezzata. Se così vi pare.
