Cinema2023

SANCTUARY Zachary Wigon

sanctuary

Un “Pretty Woman” moderno con delle atmosfere hitchcockiane e un gusto per la commedia grottesca che un pochettino ricorda il migliore Woody Allen. Ecco quello che rappresenta in buona sostanza “Sanctuary“, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, che per inciso non sono pochi. Tuttavia bisogna dare atto al regista Zachary Wigon di aver confezionato una pellicola che nel suo insieme mantiene la testa alta e riesce ad incuriosire anche quando inciampa in momenti in cui si trascina parecchio. Regia superba e musiche perfette.

La trama. L’erede di un impero alberghiero e la dominatrice che lo ha preparato per il successo si scontrano in una stanza d’albergo mentre lui cerca di porre fine alla loro relazione.

Nel film il sesso è utilizzato come espediente per raccontare una storia basata sui tradizionali conflitti interiori di ognuno di noi, quindi il rapporto con i genitori, il rapporto con ciò che si è veramente, e la capacità di relazionarsi con gli altri in maniera franca esprimendo finanche sentimenti.

In scena Margaret Qualley (sempre clamorosamente bella) e Christopher Abbott sono due protagonisti credibili, che giocano con gli stilemi del teatro e che rendono la camera di albergo dove va in atto tutta la pellicola un santuario nel quale depositare ciò che la vita reale non consente di fare, cioè il noi stesso più profondo e intimo e anche più fragile e nel contempo meno perfetto. Ed è proprio con queste armi che la pellicola alla fine vince la sfida più ambiziosa, che è quella di risultare credibile e di spingere alla riflessione anche lo spettatore più scettico. Il finale è rassicurante e sinceramente non ce n’era bisogno. Forse si poteva calcare un po’ più la mano per dargli un profilo autoriale, ma anche così il film ha una sua bellezza.

Review Overview

SCORE - 6.5

6.5

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