Partiamo dalle note negative: perché allungare così tanto il brodo e appesantire canzoni comunque valide nella loro semplicità? “Edges” è stato vittima, in fase produttiva, del classico “eccesso di generosità”, cioè della voglia di lavorare per addizione piuttosto che per sottrazione. Il risultato? Un disco carino, ma che poteva essere molto più efficace se si fosse lavorato di lima e martello.
“Edges” è un lavoro che mescola country, folk, blues, deviazioni jazz, tutte cose che rimandano al tipico immaginario americano. E’ un disco che non ha colpi di genio, ma che è piuttosto solido. La voce di Eloisa Atti è il valore aggiunto dell’album, perché sa muoversi con maestria lungo i bordi di ogni interpretazione non risultando mai fuori posto.
Il disco dura 43 minuti – se ne potevano tranquillamente togliere una decina scarsi per dare maggiore forza ai contenuti, privilegiando il cantato alle parti strumentali, che spesso annoiano l’ascoltatore e sembrano voler anticipare qualcosa di grosso che però non arriva mai – scusate lo spoiler. Insomma, più luci che ombre, ma resta la sensazione che il disco sia stato concepito maluccio.