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FABRIZIO BOSSO «Il mio rapporto con la tromba è carnale»

Fabrizio Bosso è reduce da un tour in Colombia. Neppure il tempo di tornare in Italia che è già il momento di ripartire, questa volta la destinazione sarà l’estremo Oriente, infatti il 18 e 19 ottobre, sarà di scena al Blue Note di Tokio in Giappone, luogo che è quasi una seconda patria per il trombettista di origini piemontesi.

Partiamo dalla Colombia. Mi piacerebbe prima di tutto chiederti qualcosa su questo ultimo tour. Che esperienza è stata? E che terra è la Colombia, che qui in Europa conosciamo indirettamente per la serie “Narcos” su Netflix?

«Penso che la serie “Narcos” sia troppo americanizzata, rispetto a quella su Pablo Escobar, “El Patrón del mal” di Carlos Moreno, che invece è più attendibile e realista, soprattutto per le immagini di repertorio. Il mio viaggio in Colombia è stato importante, anche emotivamente, perché ci sono delle realtà varie e diversificate che mi hanno colpito molto. Nonostante ci sia un lavoro di riqualificazione urbana, continua a esserci molta povertà. Persistono ancora tanti contrasti, tuttavia ci sono dei tentativi di recupero e interventi d’aiuto. Un giorno abbiamo fatto un seminario in una scuola privata che aiuta i ragazzi di strada e lì ho conosciuto un giovane trombettista, che veniva da zone malfamate. Ci sono molti aiuti per queste problematiche, infatti, la scuola è molto apprezzata».

Il jazz viene spesso visto come un genere di nicchia o destinato a una élite. Che ne pensi?

«Dipende da chi si va ad ascoltare. Se c’è un gruppo che suona con l’intenzione di trasmettere qualcosa, di sicuro le emozioni arriveranno al pubblico».

Altrimenti?

«Se invece, come fanno alcuni musicisti, si va sul palco con manie di esibizionismo, solo l’intenditore può uscirne vivo, mentre chi non è conoscitore del genere può andare via insoddisfatto o anche prima della fine del concerto».

Mi incuriosisce il tuo rapporto con la tromba. E’ uno strumento che senti come appendice del tuo corpo? 

«Il mio rapporto con la tromba è carnale, coinvolge molte parti del mio corpo, perché è lo strumento con cui passo più tempo».

L’hai mai odiata?

«In alcuni periodi l’ho odiata, perché ogni giorno che la prendi in mano non sai se ci litigherai o ci starai bene. Non è sempre semplice suonare in modo completamente libero. Penso che sia normale che si instauri una relazione conflittuale, con il passare degli anni si impara a dare adito a ciò che esce dallo strumento e ad assecondarlo».

Vista con gli occhi di uno che nella vita ha avuto la fortuna di viaggiare tanto, com’è l’Italia? 

«Ogni volta che sono all’estero la voglia di rientrare in Italia è fortissima, anche se dopo due giorni vorrei scappare di nuovo. Sono ancora innamorato dell’Italia, è la mia casa».

Tante ore di aereo in giro per il mondo, quindi tanti momenti di riflessione, cosa ti hanno permesso di scoprire di te stesso?

«Si ragiona molto, in quei momenti, si cerca di migliorare la relazione con le persone e con se stessi. Mi capita di riflettere molto quando sono in volo, ragiono su come riuscire a stare meglio, perché se stai bene con te stesso starai sempre bene, anche con gli altri».

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