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EPO «Siamo un crocevia della sensibilità di tutti gli elementi della band»

Esce oggi, primo marzo, “Enea“, il nuovo disco degli Epo, generosa band della scena dipendente italiana fra le più irregolari, più sottovalutate e più difficili da tratteggiare in poche parole. Gli Epo di Ciro Tuzzi per questo nuovo capitolo della loro storia si sono affidati alla lingua napoletana, una sorta di sfida con le proprie radici senza ovviamente tradire il passato.

Da il “Il mattino ha l’oro in bocca” a “Enea” sono passati quasi 20 anni. Un lasso di tempo utile per scoprire cosa di se stessi e della musica in Italia?

«In questi 20 anni – spiega Ciro Tuzzi – ho scoperto tantissime cose su me stesso. Non so dire con esattezza quante di queste cose di me stesso le abbia veramente capite ma diciamo che sono ottimista per i prossimi venti anni. Scherzi a parte, lo so che è un lunghissimo lasso di tempo ma la musica è una pezzo importante della mia vita, una compagna che mi ha formato come uomo e mi insegnato tante cose, soprattutto ad essere curioso e a cercare la parte più umana della mia coscienza. In Italia in questi anni ci sono stati tanti artisti che hanno fatto cose molto belle, forse non sempre al centro dell’attenzione o sulla bocca di tutti però, purtroppo, questo mi appare piuttosto normale in un Paese in continua involuzione sociale e morale». 

Nel nuovo disco è la lingua napoletana il grande protagonista. Perché questa esigenza?

«Realizzare un disco tutto in napoletano è stata una idea di Daniele “ilMafio” Tortora, il produttore dell’album, anche se pure io stavo ritornando a sperimentare la lingua e le sue potenzialità. In passato ci è sempre stato almeno un brano in napoletano nei dischi degli Epo ed io, negli anni ’90, ho avuto una lunga esperienza con i Core, una band di grunge cantato in napoletano. Ho ricominciato a studiare per trovare un mio modo di esprimermi in napoletano e sono molto felice del risultato. Spero che piaccia anche al pubblico».

Napoli continua a sfornare idee e personaggi di caratura nazionale e internazionale. Cos’ha di diverso dalle altre città e in che misura ispira un artista?

«La risposta credo sia nell’anarchia della scena: ci sono una serie di personaggi che fanno un loro percorso senza prestare alcuna attenzione a cosa è di moda o cosa può “funzionare” e questo porta a diventare degli outsider. Truppi, Foja, Fitness Forever, Nu Guinea, Luchè e tanti altri, non hanno nulla in comune tra di loro. Ognuno ha un suo personalissimo percorso artistico. Questa anarchia ha, però, un lato negativo. L’assenza di una vera e propria scena e industria dello spettacolo fanno sì che molti degli artisti che ho menzionato non riescano ad arrivare ad un pubblico ancora più vasto».

Di Napoli è anche Liberato. E’ un artista che ti piace? E’ una mossa di marketing? Tu hai idea di chi possa essere?

«”9 maggio” mi era piaciuta molto, le altre un po’ meno. Trovo siano molto interessanti i video e tutte le idee di marketing legate a questo progetto, ma mi sento un po’ fuori target per il tipo di proposta. Non ho una idea precisa di chi possa essere, devo dire che non ho mai visto contemporaneamente nello stesso posto Liberato ed il mio amico Michele De Finis, chitarrista degli Epo. Potrebbe essere un indizio».

Nel nuovo disco compaiono diverse figure a impreziosire i dettagli. In che misura hanno portato l’album a un livello superiore e come sono state coinvolte?

«Roy Paci e Rodrigo D’Erasmo sono stati coinvolti dal produttore del disco, il loro contributo è molto significativo e ha marchiato molto il sound di “Enea”. Abbiamo lasciato loro totale libertà sui brani e hanno saputo cogliere pienamente lo spirito del disco. Non escludo che potrebbero esserci sorprese dal vivo prossimamente…».

Negli anni gli Epo sono cambiati diverse volte nella formazione e anche nel suono. Tu hai una definizione definitiva del vostro stile? 

«Mi piace pensare che siamo un crocevia della sensibilità di tutti gli elementi della band. In questo disco ci siamo noi che giochiamo a fare Bill Withers, i Wilco, Pino Daniele, i Mogwai, gli Alabama Shakes, Roberto Murolo, John Mayer e tutta la musica che ci piace ascoltare».

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