TED BUNDY – FASCINO CRIMINALE Joe Berlinger
Meno brutto di quanto si è letto in giro ma anche meno bello di quanto sarebbe potuto essere. Insomma, un film con un soggetto potentissimo ma con le cartucce caricate a salve, perché “Ted Bundy – Fascino criminale” sarebbe potuto essere ancora più incisivo nella narrazione, nel recitato, nella fotografia, nel montaggio, nella regia. Peccato.
La trama. Nel 1969 a Seattle, Ted Bundy (Zac Efron) incontra Liz Kendall (Lily Collins), studentessa universitaria e madre single. I due iniziano a frequentarsi e Ted aiuta Liz a crescere la sua giovane figlia, Molly. Ma Ted è anche altro, naturalmente. Parliamo di uno dei serial killer divenuti più popolari – nella storia mondiale e nell’immaginario comune.
I protagonisti non sono granché, ed esclusa la scena finale (l’incontro in carcere) non vanno mai oltre il “compitino”. Efron è un attore ancora tutto da formare, un po’ meglio la Collins. Su entrambi, però, pesa il fardello di una sceneggiatura a tratti superficiale, con i protagonisti descritti in maniera caricaturale: Bundy bellissimo e stop, Liz fragile e alcolizzata e stop. C’è poco, lungo la pellicola, del magnetismo di Bundy e delle ambiguità della Kendall.
Salviamo solo John Malkovich e James Hetfield dei Metallica: il primo recita discretamente nella parte del giudice che condanna a morte Bundy, il secondo (fa il suo) nei panni di un agente.
In conclusione: il film è stato stroncato nei giudizi dei critici, ma a nostro avviso non è drammaticamente brutto come lo si vuol far passare. Intrattiene abbastanza bene e il finale chiude adeguatamente la storia. Gli manca una spina dorsale che lo tenga in piedi dritto, e non si è avuto il coraggio di calcare la mano nel torbido. Morale: si poteva ottenere un risultato più convincente.